Tra i libri usciti negli ultimi anni merita una lettura un testo pubblicato da Marco Ragusa, docente di biologia e genetica presso l'Università di Catania, che si intitola: L'uomo innaturale. Il lavoro presenta, sebbene non nuove, alcune analisi pregevoli sulle origini e la natura della specie umana. In particolare, viene messa in discussione la ricostruzione dominante sulle origini dell'uomo e sul processo di ominazione, mostrando tutti (o quasi) gli aspetti problematici: la scarsità delle fonti, le difficoltà interpretative delle medesime, le incongruenze e le contraddizioni di molte ricostruzioni (p.e. bipedismo), fino ad arrivare alle evidenti manipolazioni o persino falsificazioni che hanno puntellato la storia della paleoantropologia. Ragusa dichiara che l'evoluzione umana e il processo di ominazione contraddicono molti degli assunti della teoria evolutiva darwiniana, in questo modo la specie umana risulta essere innaturale, in quanto la sua è stata più una evoluzione culturale che biologica. Non solo. Un altro punto su cui si sofferma diffusamente il testo riguarda la presenza della sindrome di addomesticazione nella specie umana, che più che evoluta quindi risulta addomesticata (così come abbiamo visto in Homo Tropicus). Fin qui, c'è poco da dire il testo è sicuramente fuori dal civically correct; ora, però il problema sorge non solo e non tanto nell'abbozzare la questione dell'origine della domesticazione umana, quanto nella interpretazione di questa in relazione alla dialettica natura-civiltà. Sulla questione della domesticazione umana, ovvero cosa abbia provocato la sua comparsa, e una possibile interpretazione eso-politica (ed eso-paleoantropologica), ciò esula dai nostri intendimenti, non fosse altro che le prove sono di difficile acquisizione ma soprattutto perché non centrano il cuore del problema, ovvero quale sia la natura della specie umana e il suo posto nel mondo. E qui arriviamo all'elemento speculativo fondamentale, l'unico che può fondare una teoria critica della civiltà e conferire rigore alla riflessione.
Infatti, nonostante le critica alla paleoantropologia ufficiale, il testo aderisce alla visione fondante del pensiero civilizzato, ovvero di una natura ostile e fatale a cui l'uomo ha risposto con la tecnica in virtù della sua superiore intelligenza. Così dopo aver demistificato una narrazione (giustamente) definita fanciullesca, rispolvera il mito archetipico dell'uomo in lotta con la natura e da questa destinato alla fame, al freddo, alla malattia e alla morte violenta. Questo perché l'uomo viene giudicato dall'autore non adatto e specifico per nessun ambiente e per nessuna nutrizione (in questo sicuramente in linea con le affermazioni di Mauro Biglino). Quindi per Ragusa l'Uomo è onnivoro e onnitropo così come vuole il dogma centrale del non-pensiero addomesticato. Peccato che questo non valga per gli altri animali addomesticati, in quanto la mucca seppur addomesticata rimane erbivora così come la pecora o la capra; allo stesso modo i cani e i gatti sono ancora carnivori; o le galline sono ancora semivore. Di conseguenza la civiltà è necessaria per consentire di vivere a questa specie (quella umana) senza senso che è venuta al mondo senza avere un posto in esso, quantunque dalla sua comparsa alla sua domesticazione non si capisca come sia vissuta e dove sia vissuta, visto che per Ragusa, implicitamente, il circolo polare o la fascia tropicale sono la stessa cosa. Addirittura, nella visione dell'autore, senza la tecnica l'uomo non può riprodursi, perché il parto è impossibilitato o reso estremamente problematico per l'eccesivo sviluppo cranico del nascituro rispetto al canale vaginale materno. Ovviamente questa affermazione sembra quantomeno forzata, dato che l'alta mortalità infantile è stata quasi sempre postpartum, e la mortalità puerperale, quando si verificava, era quasi sempre dovuta a pratiche aspecifiche o al rachitismo del bacino degli uomini civilizzati; d'altronde Michel Odent, ginecologo e ricercatore di fama mondiale, ha ampiamente dimostrato come sia possibile partorire naturalmente in modo relativamente facile ed indolore. Infine, anche Ragusa è convinto delle presunte straordinarie capacità intellettive dell'uomo che rimangono inespresse se però non stimolate culturalmente durante lo sviluppo in modo adeguato. In realtà quella dell'intelligenza umana è semplicemente un costrutto ideologico autoreferenziale che confonde capacità di pianificazione e abilità manuali con capacità di comprensione della realtà che lo circonda. Se costruire un grattacielo di trenta piani e magari andarci a vivere è sinonimo di intelligenza, allora alziamo le mani.
Se poi questa specie, come sembra alludere il testo nelle pagine conclusive, sia stata domesticata da qualche forza esotica o provenga da qualche altra parte, si sposta la questione solo più in là, dato che se appartiene alla natura avrà comunque una sua natura determinata. In caso contrario, se è veramente innaturale, non perché sia votata alla Tecnica, ma perché non ne presenta nessuna (di natura), allora vorrà dire che siamo di fronte solo ad uno stupido e inutile automa.
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